La pioggia che cade sulla pianura padana ha essenza differente dalla pioggia del resto del mondo: fina, trasparente eppur opprimente, appiattisce ancora di più l’orizzonte, laccando di lucido l’infinito nulla. Monotona ed interminabile come l’attesa del tuo turno dal dentista, quando sai che il sacrificio di aspettare verrà ripagato con altro sacrificio.
La periferia del piccolo borgo romagnolo si trasforma in campagna senza che l’occhio umano se ne accorga. Ai lati della strada, campi spogli e viti denudate, secche d’autunno.
La pioggia produce silenzio.
Raoul ama spezzare quel silenzio offrendo le proprie spalle all’acqua scrosciante, contando i rintocchi pesanti delle gocce che si infrangono sulla pelle spessa del giubbotto nero. Senza casco, seduto sulla sua Ducati rossa ferma lungo il ciglio del torrente, ascolta.
A quell’ora della notte non c’è anima viva in giro, e Raoul può prendere possesso del cosmo. Come un direttore d’orchestra, chiude gli occhi e lascia fluire le note della natura dentro di sè: lo scorrere ruvido del torrente nel suo letto di cemento, il lesto movimento di un rapace, l’erba intrisa che si difende contro la pioggia in una battaglia persa in partenza. Le note si mescolano in musica battente che Raoul dirige e scandisce al ritmo delle proprie pulsazioni.
C’è un angolo nascosto nella carne profonda di Raoul dove piove sempre. Stessa pioggia sottile e continua, noiosa come una ninna-nanna cantata dalla mamma quando non vuoi dormire. Quel piccolo lembo sanguinante va in risonanza con la notte piangente, urlando ricordi e dolore.
Raoul si lascia sopraffare accettando la sofferenza, anche fisica, del ferro nel polpaccio, risvegliato dalla troppa umidità.
Mentre la pioggia cade, Lisbeth è indispettita: la Milvia ha trovato da fare del buono al Pamela, mentre lei, nonostante il Gionatan sia pronto ad un secondo round e le lanci occhiate da cucciolo di peluche, non ha proprio voglia di compagnia. Capita quando il cielo piange troppo: Lisbeth si sente come se dovesse farsi carico delle lacrime, e consolare i cumulinembi bigi e disperati.
Con un cenno sbrigativo della testa, saluta l’Alieto e Mother, che la guardano andarsene senza proferire parola: conoscono troppo bene il motivo della sua scontrosità e non se ne danno cruccio perché sanno che va bene così.
Senza ombrello, Lisbeth è costretta a correre verso l’automobile, cercando di evitare le pozzanghere. Una storta, la calza che si smaglia, il tacco che si rompe. Le chiavi dell’auto introvabili.
Lisbeth si ferma in mezzo al parcheggio, alza le braccia al cielo e comincia a ridere sonoramente. L’irritazione è sparita, lavata via dalla pioggia e dalle contingenze. Dal buffo della vita, dal grottesco delle ombre notturne che sembrano maschere di una commedia messa in scena soltanto per chi è in grado di vedere l’eterna pantomima dell’esistenza.
Dal Pamela arriva il suono ovattato della musica. Una coppia parlotta, camminando svelta verso la propria vettura. Il rombo di una moto si avvicina.
Ora il parcheggio è deserto. Lisbeth volge il capo verso il rumore del motore nell’istante stesso in cui Raoul la vede. Un fulmine esplode tra i tetti, trafiggendo Lisbeth di luce che rivela: Raoul è senza casco, pallido, fradicio, bellissimo. I suoi occhi hanno il colore sconosciuto e segreto di foresta bagnata dal pianto ancestrale della Terra.
Ormai scoperto, esposto al laser color caffè dello sguardo di Lisbeth, Raoul scende dalla moto e si avvicina in due potenti falcate.
“Non questa sera, Lisbeth…questa sera non posso fermarmi…”
Lisbeth trema, cosciente del suo essere viva, cosciente di ciò che sta per succedere.
Raoul è troppo vicino, alto, l’espressione determinata del killer. L’afferra con la velocità di un animale predatore, le infila le dita tra i capelli, toccando il centro preciso del piacere, e la bacia.
Labbra morbide che sanno di buono. Lingue che riconoscono un linguaggio che appartiene solo a loro due. Perdita del passare del tempo, del buon senso, del freddo. Corpi di lattice aderente, mani che spazzano via confini e pudore, adrenalina.
to be continued.